La biopsicocibernetica secondo me – di Luciano Pederzoli

Biopsicocibernetica è una parola di uso tutt’altro che frequente, quindi è opportuno chiarirne il significato. Alla lettera, è la capacità di guidare psichicamente ciò che è vivente, poiché la parola è composta da tre parti:

bio – dal greco βίος (bìos) = vita – da cui l’italiano “biologia”

psico – dal greco ψυχή (psykhé) = soffio vitale – da cui l’italiano “psiche”

cibernetica – dal greco κυβερνήτης (kybernètes) = timoniere, capo – è “l’arte di guidare”.

Tuttavia la parola ha assunto un significato più esteso ed articolato e significa, in estrema sintesi, “capacità di influenzare la realtà per via psichica”. Per approfondimenti, leggere: LA BIOPSICOCIBERNETICA. UNA BRANCA DELLE SCIENZE DELL’UOMO di Enrico Marabini, La Mandragora Editrice, 2007 (il dott. Marabini è direttore de IL LABORATORIO INTERDISCIPLINARE DI RICERCA BIOPSICOCIBERNETICA, di cui faccio parte, che ha sede a Bologna – www.laboratorio.too.it – D’ora in poi lo chiamerò semplicemente IL LABORATORIO).

Fatta questa doverosa premessa, mi pare corretto spiegare anche perché sono arrivato ad occuparmi di un argomento così insolito, che consiste, in pratica, nello studio scientifico di fenomeni comunemente definiti “paranormali”, ovvero non spiegabili con le conoscenze scientifiche tradizionali.

Bisogna risalire a tanto tempo fa. Quando ero ancora un bambino, nel 1954, fu un mio zio paterno, uomo di profonda cultura e di vasti orizzonti, che per me faceva le veci di un nonno (i miei nonni veri erano morti prima che io nascessi e lui aveva 47 anni più di me), a parlarmi per la prima volta di quelli che adesso vengono definiti “fenomeni di frontiera”, ad alcuni dei quali egli aveva assistito personalmente, essendo amico di un dotatissimo medium che svolgeva tale attività solo per la cerchia dei conoscenti, senza alcun interesse economico.

Questo zio era laureato in filosofia, ma era un grande appassionato di scienza ed io ero uno di quei maledetti/fortunati che hanno, fin da piccoli, una vocazione precisa. Avevo quella per la scienza e la tecnica e l’ho rispettata laureandomi in ingegneria, dopo aver frequentato (volentieri, essendo la cultura classica una tradizione familiare) il liceo classico. Sotto la sua guida mi trovai subito ad avere a che fare con due mondi apparentemente incapaci di comunicare tra di loro (scoprendo solo molto tempo dopo che uno faceva capo all’emisfero destro del cervello e l’altro a quello sinistro). Ai miei occhi ambedue erano ugualmente degni di rispetto, così come la persona che me li aveva presentati, ma fu subito chiaro che, da un lato, i “fenomeni di frontiera” erano spesso gestiti da malintenzionati, i quali sfruttavano l’impreparazione scientifica della gente a proprio vantaggio, e dall’altro che il mondo scientifico era molto chiuso, auto referente e basato su dogmi, come una fede religiosa.

La scienza e la tecnica mi attraevano molto, anche se presentavano delle serie difficoltà di studio, e mi ci dedicai senza rimpianti: lo sentivo come un dovere verso me stesso.

Una volta laureato, mentre svolgevo il mio lavoro tecnico, continuavo ad occuparmi dei “fenomeni di frontiera” e lentamente mi si chiariva il compito che dovevo tentare di svolgere, conoscendo bene ambedue i mondi: renderli, per quanto possibile, compatibili l’uno con l’altro.

Il compito è estremamente arduo, in particolare perché l’impreparazione generale riguardo ai “fenomeni di frontiera” e la scarsa credibilità di molti operatori genera uno scetticismo diffuso e rende credibile la negazione ”a priori”, da parte della scienza “ufficiale”, dell’esistenza di tali fenomeni, dei quali quelli una volta definiti “paranormali” sono una componente importante. Una negazione con un preciso senso logico: chi detiene il “potere” tramite la cosiddetta “scienza ufficiale”, quindi gode di pubblico prestigio e sfrutta in qualche modo gli ingenti stanziamenti nazionali e sovranazionali in tale settore, non ha nessun interesse a dichiarare di non essere il depositario di TUTTA la verità. Se tollerasse il contraddittorio, ammetterebbe la possibilità che qualcuno, per di più non inquadrato nel proprio protettivo sistema di potere, possa sapere qualcosa di più o di diverso, e quindi possa aver diritto anch’egli ad un posto al sole del prestigio sociale e degli stanziamenti.

Il rischio della perdita di potere (e/o del denaro) genera l’Inquisizione: l’abbiamo subita per tanto tempo che non c’è da stupirsi se si presenta ancora sotto diverse spoglie. Inoltre bisogna onestamente dire che la “scienza ufficiale” si è rivelata molto utile all’umanità, insegna concetti generalmente giusti ed i suoi risultati sperimentali sono quasi sempre attendibili, ma ha un punto debole: tende a non prendere in considerazione, quando non addirittura a nascondere, i risultati sperimentali non “consoni” ai dogmi in vigore e le interpretazioni “diverse” dei risultati sperimentali accettati.

Ecco un esempio chiarificatore: “Gli alieni possono esistere (fino a poco tempo fa non potevano neppure esistere), perché ormai non si può più negare che i pianeti siano comuni anche fuori dal sistema solare e le leggi (accettate) della probabilità ci dicono che la vita intelligente (a parte la nostra, che spesso non lo è) deve esistere anche altrove, però NON È POSSIBILE CHE SIANO QUI, perché gli altri pianeti eventualmente abitati sono lontani molti anni luce e, siccome NON SI PUÒ SUPERARE LA VELOCITÀ DELLA LUCE, ne consegue che i viaggi tra i pianeti abitati non sono possibili, perché durerebbero troppo tempo.”

Non è il caso, in questa sede, di disquisire scientificamente su tali affermazioni, ma si può, se non altro, affermare logicamente che, se anche la durata del viaggio fosse troppo lunga per la NOSTRA vita, potrebbe non esserlo per quella di alieni capaci di vivere molto più a lungo di noi. Inoltre, ed è più grave, l’insuperabilità della velocità della luce è un dogma che nasce dal postulato secondo il quale il fotone è quanto di più veloce esista nell’universo e tutto vada misurato tramite esso. Ma, a prescindere dal fatto che esso sia o no quanto di più veloce esista, molti fisici ormai teorizzano di “worm holes” tra punti diversi dell’universo, in grado di permettere di AGGIRARE la velocità della luce, consentendo viaggi di breve durata tra luoghi estremamente distanti.

Per di più l’esperienza (della scienza ufficiale) insegna che molti “dogmi” sono stati superati ed ora sono considerati privi di fondamento perché una teoria, con gli eventuali suoi “dogmi”, per quanto corretta, viene, prima o poi, SEMPRE superata da un’altra teoria più avanzata che ingloba la precedente come caso particolare.

Ne consegue che questi atteggiamenti preconcetti, per usare un linguaggio sindacale, hanno un forte sapore di difesa corporativa.

È noto, poi, che ciascuna disciplina, nuova o vecchia che sia, crea un proprio linguaggio “iniziatico”, il quale consente un’agevole comunicazione tra coloro che sono, appunto, ad essa “iniziati”, ma risulta pressoché incomprensibile per quelli che non lo sono.

Si formano in tal modo vere e proprie “congregazioni” chiuse; la medicina, l’architettura, la musica, tanto per citare tre discipline antiche e diverse l’una dall’altra, hanno creato ciascuna il proprio “gergo”, che le segrega da tutte le altre creando inoltre intorno a sé, presso il pubblico impreparato, un’aura di competenza e credibilità favorita dall’impossibilità di comprensione.

Anche il mondo dei “fenomeni di frontiera” non fa eccezione alla regola, anzi, esso può apparire omogeneo solo a chi ne viene in contatto in modo occasionale ed epidermico: in realtà esso si divide in molte discipline, ciascuna delle quali rappresenta una vera e propria “congregazione”, con il proprio gergo, i propri dogmi (grazie a Dio per ora meno incrollabili di quelli della “scienza ufficiale” dominante) e le proprie rivalità nei confronti di alcune delle altre discipline.

Il compito di rendere compatibili l’uno con l’altro il mondo della “scienza ufficiale” e quello dei “fenomeni di frontiera” risulta, pertanto, particolarmente arduo, anche perché molti termini sono comuni ai due mondi, ma con significati completamente diversi. Ad esempio gli uni parlano di Energia intendendo un lavoro misurato in joule e gli altri utilizzano il termine Energia (spesso si parla di “Energie sottili”) intendendo qualcosa che si avvicina più al significato di “Capacità creatrice”, o meglio, di “Capacità di influire sulla realtà”.

La “scienza ufficiale”, per screditare chi è “diverso”, coglie la palla al balzo ed afferma che l’unico significato accettato ed accettabile del termine Energia è il proprio e pertanto chi lo usa con un altro significato è un ciarlatano. La fisica, quando parla di Energia, intende un lavoro, cioè il prodotto di una forza per uno spostamento, e la forza (secondo newton) è il prodotto di massa per accelerazione (spazio fratto tempo al quadrato), ma, anche se spiega bene come si fa a misurare spazio, tempo e massa, si dimentica di spiegare COSA ESSI SIANO. Ovviamente viene obiettato che la massa si ricava uguagliando la E=mc2 con la E=hf (h è la costante di Planck ed f è la frequenza): si introducono in tal modo la frequenza e la costante di Planck, ma NON una vera spiegazione.

Non dimentichiamo che persino Newton, scrivendo la formula che consente di calcolare l’attrazione gravitazionale tra due masse, ci ha spiegato come fare ad utilizzare la gravità, ma NON CHE COS’È LA GRAVITÀ, infatti non lo sappiamo ancora.

Gli uni parlano di frequenza intendendo il numero, misurato in hertz (cicli al secondo), di fenomeni (uguali) che si ripetono in un secondo; gli altri, con il termine “frequenza” (ad esempio: “Questo luogo ha una frequenza molto superiore a quell’altro”), intendono qualcosa che si avvicina al concetto di “Capacità di influenzare gli esseri viventi” e non è detto che questa capacità possa sempre essere misurata in hertz, ma ciò non toglie che tale influenza possa farsi sentire sugli esseri umani. A tal proposito l’ing. Sergio Berti ha esposto ultimamente, in una conferenza tenuta all’abbazia di Praglia (PD), un interessantissimo lavoro, svolto in collaborazione con l’università di Urbino nel palazzo ducale di quella città, il quale dimostra, su base statistica, l’influenza dei luoghi sulle persone, rilevando non solo la presenza di falde acquifere e faglie, ma anche quella della cosiddetta “Rete di Hartmann”.

In breve, i termini utilizzati possono avere un significato diverso rispetto a quelli canonizzati dalla fisica, ma i fenomeni che essi descrivono esistono realmente.

Il tentativo di screditare l’avversario basandosi sul fatto che attribuisce ad una parola un significato che si considera improprio è chiaramente un espediente per giustificare il rifiuto di prendere in considerazione altri punti di vista.

D’altra parte, nella vita quotidiana, non è raro che lo stesso termine venga utilizzato con più significati diversi: ad esempio “freccia” ha un significato per il tiro con l’arco, un altro per la Scienza delle Costruzioni ed un terzo per il Codice della Strada, così come “vite” può essere la pianta che dà l’uva, un dispositivo di accoppiamento in meccanica e una figura acrobatica in aeronautica, senza che nessuno accusi gli altri di uso improprio della parola.

Ecco il vero problema: al di là delle definizioni, come si fa a rendere credibile un fenomeno considerato “paranormale” a chi non lo “vede”, per incapacità o perché non lo vuol “vedere”, e, contemporaneamente, convincere chi “vede” abitualmente il fenomeno a descriverlo dettagliatamente e sinceramente in modo comprensibile, a consentire di effettuare misure, in breve a sottoporre a pesante e reiterata verifica la propria buona fede? Molti sono condizionati negativamente dalle verifiche e perdono le loro capacità. Molti di più, purtroppo, non sono in buona fede e si limitano a sfruttare a proprio vantaggio (soprattutto economico) la loro abilità nel percepire i punti deboli altrui, senza possedere alcuna capacità “paranormale”.

Un metodo per affrontare il problema mi risultò chiaro una decina d’anni fa, quando apparvero a prezzi abbordabili, sul mercato del “surplus” militare americano, le prime telecamere per l’infrarosso lontano (da 8 a 14 μm di lunghezza d’onda). Esse venivano utilizzate dai militari per vedere il nemico anche di notte, sfruttando la sua emissione di calore. Erano in bianco e nero e di tipo differenziale, cioè mostravano solo le differenze di emissione termica, non la temperatura assoluta, ma aprivano una finestra su di un nuovo mondo. L’amico Daniele Gullà, anch’egli de IL LABORATORIO, notò, lavorando insieme al dott. Clarbruno Vedruccio, che alcune persone riuscivano ad “illuminare” a comando, cioè a rendere apparentemente più caldi, dei punti del loro corpo. Proseguendo la ricerca, risultò chiaro che c’era chi riusciva ad “illuminare” dei punti che coincidevano con quelli che gli orientali chiamano Chakra.

Era altresì chiaro che chi possedeva doti riconosciute di pranoterapeuta (gli altri no) riusciva ad emettere dalle mani una “luminosità” che aumentava vistosamente quando era in corso l’azione terapeutica. Era la prima dimostrazione dell’esistenza e della misurabilità della pranoterapia. Adesso si usano telecamere bolometriche assolute, a falsi colori, con le quali si sta lavorando sulla rilevazione e sull’analisi dei punti dell’agopuntura ed alcune scuole per pranoterapeuti utilizzano queste telecamere per selezionare inizialmente gli allievi e per controllarne periodicamente i progressi.

La possibilità di rilevare le capacità pranoterapeutiche fa, però, nascere delle domande:

La luminosità emessa dalle mani del pranoterapeuta è una forma di calore? Pare di no, perché l’aria interposta tra le mani del pranoterapeuta ed il destinatario della cura non rivela i comportamenti tipici dei gas riscaldati; sembra, piuttosto, di avere a che fare con una forma di emissione radiante che non ha effetti termici sull’aria, ma si tratta del fenomeno principale, oppure solamente di uno secondario? Qual è il principio su cui si basa?

Con quale meccanismo si possono “illuminare” determinati punti del corpo e non altri? Si tratta di una generazione locale di calore, oppure abbiamo a che fare con qualche altro fenomeno?

C’è una relazione tra l’intensità del fenomeno rivelato e l’efficacia del trattamento pranoterapeutico?

Non ho le risposte, ho solo delle ipotesi, ma questo è il punto più importante: quando si inizia a discutere (e quindi a fare studi ed esperimenti) sull’interpretazione di un fenomeno, significa che esso è passato dallo status di “paranormale” a quello di “scientificamente studiabile”, cioè “normale” e l’esistenza del fenomeno stesso, negata per tanto tempo, è stata finalmente accettata.

Ormai da un po’ ho lanciato l’idea di utilizzare una telecamera di questo tipo, purtroppo ancora molto cara, per chiudere l’anello di feedback e consentire l’autoapprendimento, disponendo un teleschermo davanti all’allievo pranoterapeuta, in modo che egli possa vedere in tempo reale gli effetti del proprio lavoro di concentrazione, imparando così rapidamente le tecniche e gli accorgimenti che forniscono i migliori risultati.

Faccio notare che la chiusura dell’anello di feedback per l’autoapprendimento si basa sulla capacità di rivelare un fenomeno correlato con quello che si vuole apprendere a controllare. Non è detto che debba trattarsi necessariamente del fenomeno primario: può essere anche un fenomeno del tutto secondario, purché ad esso strettamente correlato.

Ecco un esempio: stiamo guidando l’automobile in autostrada ed inizia una salita. Vogliamo mantenere la velocità che avevamo in pianura, vediamo il tachimetro segnare una velocità minore e schiacciamo l’acceleratore, facendo risalire l’indicazione del tachimetro. L’effetto primario che produciamo è di incrementare la potenza generata dal motore aumentando l’afflusso di carburante, ma quello che utilizziamo per il controllo è un effetto del tutto secondario (l’indicazione del tachimetro), correlato con quello primario solamente perché il tachimetro misura, in realtà, la velocità media di rotazione delle ruote, ma non ha nulla a che fare, direttamente, con la potenza generata dal motore: semplicemente visualizza un segnale generalmente correlato con la velocità dell’auto (segnerebbe anche se le ruote non toccassero il terreno). Tuttavia, se le ruote toccano il terreno e non slittano, potremmo anche non sapere nulla di motori, ma otterremmo ugualmente il risultato di riportare la velocità dell’auto al valore desiderato.

Il metodo da utilizzare è questo: le persone sono abituate a considerare vero ciò che gli strumenti di misura rilevano, quindi si tratta di identificare qualche effetto, per quanto collaterale e debole, ma rilevabile strumentalmente, correlato con un fenomeno “paranormale” e quest’ultimo diventerà improvvisamente “normale”.

Quello che segue è un esempio significativo di applicazione del metodo: per caso ci accorgemmo che, durante sedute di meditazione, si poteva rilevare a tratti, tramite un fonometro campione, un segnale che sembrava emesso dalle persone in meditazione. Gullà ed io ci insospettimmo ed organizzammo un’altra seduta di rilevazione, utilizzando anche strumenti appositamente da me progettati. Potemmo constatare che il segnale esisteva veramente, era rilevabile a distanza di alcuni metri dal gruppo in meditazione e la sua durata era sufficiente ad iniziarne l’analisi. Si trattava di qualcosa di molto simile ad un elettroencefalogramma registrato sommando i segnali di tutti gli elettrodi a contatto con la pelle, solo che lo si rilevava senza contatto, a vari metri di distanza.

Dopo aver realizzato appositi sensori ed amplificatori ed aver acquistato un secondo fonometro campione  tornammo di nuovo a fare rilevazioni, organizzando bene le sedute, ed avemmo la soddisfazione di registrare diverse volte il segnale con più sensori, addirittura per più di sei minuti consecutivi. Alla fine conseguimmo la certezza che non si trattava di un segnale acustico e che esso era emesso dalle persone in meditazione; per di più ottenemmo registrazioni di buona qualità e di lunga durata, perfettamente analizzabili.

Iniziai a progettare un’elettronica e dei sensori apposta per rilevare quel tipo di segnale e visualizzarne l’intensità, per consentire l’autoapprendimento della tecnica di emissione (sto completando la realizzazione proprio in questo periodo. Purtroppo i tempi si allungano moltissimo, quando non di dispone di un’apposita organizzazione e di adeguati finanziamenti). Nel frattempo era emerso, sempre casualmente, che quel tipo di segnale poteva essere emesso da una sola persona, sottoposta a forti emozioni.

Da poco, IL LABORATORIO ha programmato una specifica ricerca dedicata a quel tipo di segnale e stiamo completando i preparativi per iniziare i lavori.

Di che cosa si tratta? È telepatia, telecinesi, o qualcos’altro? Non abbiamo risposte, solo ipotesi, ma il segnale esiste, adesso è facilmente rilevabile e studiabile e si può iniziare con i primi tentativi di chiusura dell’anello di feedback per l’autoapprendimento. Anche in questo caso il “paranormale” è diventato “normale”.

Un ultimo esempio: tempo fa Gullà ed io abbiamo rilevato (e filmato) “biofotoni” in forma organizzata (sembrano piccole sferette luminose e non i singoli biofotoni segnalati da diversi ricercatori) emessi da una nostra amica dalle non comuni facoltà, Florentina Zamfirescu, anche lei de IL LABORATORIO. Li abbiamo poi rilevati (e filmati), sempre in sua presenza, su più persone contemporaneamente. Questa volta erano visibili, per alcuni degli osservatori presenti, addirittura ad occhio nudo.

È chiaro che esistono; non è chiaro cosa sono, ma anche in questo caso il “paranormale” è diventato “normale”, tant’è vero che IL LABORATORIO sta studiando un apposito programma di ricerca.

Lavorando da soli, oppure in un piccolo gruppo, senza poter svolgere un lavoro di ricerca sistematico, sono limitate le possibilità di venire a contatto, più o meno casualmente, con effetti collaterali, eventualmente rilevabili strumentalmente, connessi a “fenomeni di frontiera” e soprattutto è difficile notarli e, di conseguenza, segnalarli.Per questo invito tutti coloro che sono interessati a questo tipo di fenomeni a tenere gli occhi ben aperti e segnalare qualsiasi effetto insolito: non si sa mai!